[a cura di L. Balbiani, con un saggio introduttivo di G. Landolfi Petrone, Bompiani, Milano 2015]
L’Iperione di Hölderlin fu pubblicato in due volumi nel 1797 e 1799. Un quarto di secolo dopo I dolori del giovane Werther, il poeta svevo non ancora trentenne proponeva un romanzo epistolare che trasformava la struttura monologica e “immediata” del modello goethiano in una complessa composizione di scrittura, riflessione e memoria soggettive, culminante nel riconoscimento del dolore come parte integrante della vita, nella celebre invettiva contro i tedeschi “barbari” e l’allontanamento dei moderni dalla divina natura, e infine nel momento epifanico in cui il protagonista, udendo la voce di Diotima defunta, intuisce l’unità del tutto, l’armonia che contiene il dissidio.
I contemporanei di Hölderlin, e a lungo anche i posteri, considerarono il romanzo la sua opera più rappresentativa, e su di esso si fonda per un buon tratto la ricezione filosofico-letteraria del poeta. La prima traduzione italiana, con alcuni tagli, uscì nel 1886 a firma di Luigi Parpagliolo (Sonzogno), nel 1911 Gina Martegiani ne versò una scelta di brani (Carabba), e nel 1931 Giovanni Angelo Alfero realizzò la prima edizione completa (UTET). La versione più diffusa è quella di Amoretti (Feltrinelli) del 1981 che, per quanto antiquata nel tono, ha potuto contare su una sede prestigiosa e molte riedizioni. Allo stesso 1981 risale la versione a quattro mani di Bertamini e Ferrari (Guanda), mentre al 1989 datano l’edizione commentata di Scimonello (Studio Tesi) e il Frammento di Iperione tradotto da Bizzarri e Angelino (Il Melangolo).
A oltre venticinque anni dall’ultimo Iperione italiano, l’edizione curata da Balbiani per la collana «Il pensiero occidentale» – fortemente voluta dal suo direttore da poco scomparso, Giovanni Reale – ovvia in primo luogo all’inevitabile invecchiamento delle traduzioni dei classici. Il testo a fronte (Münchner Ausgabe), la cronologia della vita e dell’opera, il saggio introduttivo, gli approfondimenti bibliografici, le ricchissime note al testo sono parte integrante e decisiva dell’operazione, che risponde a una concezione aperta di “testo globale” (di essa Balbiani dà conto nel brillante saggio Iperione «reloaded» o La dinamica della [ri]traduzione, inserito nell’ultimo quaderno di «Studia hölderliniana»). Ma soprattutto: Balbiani raccoglie, traduce e commenta tutte le stesure precedenti. Tranne il Frammento di Iperione, si tratta di inediti assoluti in italiano, che includono il primo abbozzo di lettera Dormivo, o mio Callia…, due testimoni frammentari d’una narrazione a cornice (Stesura in versi e Giovinezza d’Iperione, in prosa), e le più tarde versioni nuovamente epistolari: la Penultima stesura (con la celebre Premessa e l’immagine dell’“orbita eccentrica”) e le Bozze per la stesura definitiva.
I lettori italiani possono ora farsi un’idea di prima mano della genesi del romanzo, di linee tematiche e stilistiche fondamentali e di scarti improvvisi nella struttura come nei contenuti – un meraviglioso Einblick nella cultura letteraria tedesca di fine ‘700. Inoltre, l’aver curato versione e commento dell’intero corpus permette a Balbiani una sicurezza di soluzioni lessicali, morfo-sintattiche e ritmiche inevitabilmente sconosciuta a chi ne aveva tradotta solo una parte – perfino scelte che potrebbero apparire meno riuscite a chi preferisse maggiore pathos, una patina arcaizzante o un rinvio a termini invalsi in altri contesti o autori, assumono nella globalità del testo ineccepibile carattere di coerenza. Non potrà più sfuggire come nell’Iperione Hölderlin sperimenti forme letterarie diverse: sebbene le varie tappe della scrittura si snodino a contatto con la costellazione dell’idealismo, il romanzo permane indefessamente entro l’ambito (per Hölderlin omnicomprensivo) della poesia. Ogni interpretazione di Iperione come costruzione filosofica rivestita di finzione è da oggi meno facilmente difendibile anche in ambito italiano.
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